Errore medico, informazione, consenso
Avv. Nicola Todeschini Risarcimento per consenso informato negato
In un recente lavoro fiorentino elaborato dal Centro di gestione del Rischio Clinico a Sicurezza del Paziente della Regione Toscana si è discusso dell’importanza della comunicazione per evitare il c.d. evento avverso in sanità (o se preferite l’errore medico, la malasanità, la responsabilità professionale).
Secondo lo studio un’alta percentuale di casi sarebbe evitate se solo anche la comunicazione tra sanitari fosse rispettata, a dimostrazione del fatto che non solo il difetto d’informazione rechi danno al paziente quando la mancata informazione dovesse essere a lui diretta, ma anche quando i sanitari tra loro non comunichino abbastanza.
Il diritto del paziente alla corretta informazione
Che il paziente abbia diritto ad essere tempestivamente e correttamente informato non è più recato in dubbio da alcuno, ed anzi il fondamento del dovere, contrattuale, d’informare, si ricava dalla stessa nostra carta costituzionale.
Se il paziente non viene informato e viene quindi pregiudicata la sua possibilità di autodeterminarsi alla cura ha diritto di essere risarcito anche se il trattamento venga poi somministrato con perizia (correttezza tecnica). Sul punto segnalo altri approfondimenti che potete trovare sia nella pagina tematica che nelle molte pubblicazioni che ho curato sull’argomento.
L’arte di comunicare, il piacere d’informare
L’abilità nel comunicare non si insegna all’università, ma è una dote, che va coltivata, e che rende piacevole anche ciò che è doveroso. L’informazione, in verità, deve essere obiettiva, non piegata alla logica ed alle riserve personali di chi debba informare; deve invece essere funzionale ad un unico obiettivo: l’autodeterminazione del paziente alla cura.
Vale lo stesso, sia chiaro, per qualsiasi professionista, e quindi anche per l’Avvocato, perché non basta avere ragione, è necessario anche capire quanto possa costare sentirsela riconoscere da un giudice, rincorrerla. Il paziente-cliente non decide con la nostra testa, ma con la sua, con il suo orizzonte esistenziale che è unico, irripetibile, che non va calpestato in nome di “so io quel che è necessario fare”.
L’obiettivo da salvaguardare, nell’affermazione del dovere d’informare correttamente, è proprio la persona, la sua unicità.
L’informazione paternalistica
Non di rado, invece, l’informazione è assai poco scrupolosa, tesa a “far dire di si“, ad ottenere il consenso, quando invece il paziente deve potersi determinare anche al “no”, sia esso assoluto che relativo (dirò di si in un altro momento, ad uno specialista, in un centro ad alta specializzazione), ecco perché il paziente ha diritto di conoscere il livello di specialità, di dotazione degli strumenti di diagnosi e cura, delle complicanze, anche se di rara emersione, perché solo dinanzi ad un quadro chiaro, ed onesto, può decidere se sottoporsi al trattamento.
Lo studio fiorentino che ha stimolato questo mio post ora ricorda che i sanitari spesso non comunicano volentieri ed abbastanza diligentemente nemmeno tra loro, così che moltissimi eventi avversi si verificano proprio per la mancanza di coordinamento, e tale dato la dice lunga su quanto sia scarsa ancora nel sistema la consapevolezza dell’importanza della comunicazione.
Per comunicare correttamente, e lasciare la decisione, come è giusto, al paziente, bisogna del resto abbandonare per sempre l’approccio paternalistico (so io, sono io che decido) per adottare quello consulenziale/esistenziale sul quale insisto molto nella mia attività dottrinale e professionale.