La gestione del contenzioso in materia di responsabilità medica
Avv. Nicola Todeschini Malasanità, Responsabilità del medico dipendente, Responsabilità della struttura ospedaliera
Osservazioni allo studio Eurispes sull’esperienza del Tribunale di Roma in materia di A.t.p.
Il pregiato studio ( https://www.simlaweb.it/responsabilita-medica-un-po-di-numeri-contro-il-mainstream/ ) scaturito dalle statistiche del Tribunale di Roma in materia di ATP e recentemente commentato da SIMLA mi ha suggerito alcune note sulla gestione del contenzioso in materia di responsabilità medica che di seguito porto all’attenzione degli interpreti.
Affermare che nel procedimento per A.t.p. “la figura e la funzione dell’avvocato e del Giudice sono, per lo più, del tutto marginali e periferiche” significa dimenticare, a titolo d’esempio, la dottrina e giurisprudenza sorte in materia di ammissibilità del procedimento per accertamento tecnico preventivo. Ne sono derivate osservazioni e un contenzioso assai delicato che hanno convinto diversi Tribunali a formare decaloghi proprio in materia di ammissibilità del ricorso.
La scelta dei soggetti da coinvolgere nell’accertamento tecnico preventivo, inoltre, suggerisce uno scenario del tutto diverso quindi della delicatezza delle questioni di carattere giuridico che debbono essere poste a fondamento delle delicate scelte, appunto, giuridiche, che determinano poi il risultato della stessa procedura.
Non va dimenticata inoltre l’altrettanto delicata predisposizione del quesito: va certamente ricordato che molti Tribunali (per esempio proprio quello di Roma https://www.tribunale.roma.it/allegatinews/A_29438.pdf) hanno elaborato propri quesiti (a dimostrazione del fatto che anche la determinazione del quesito riveste un momento, sotto il profilo giuridico, assai rilevante) e vi sono giuristi che, come chi scrive, hanno cura di proporre sempre al Magistrato, seppur nel rispetto del quesito che questi è solito predisporre, un proprio quesito che consenta di circoscrivere o, in qualche caso, estendere l’indagine a tutte le questioni che ha inteso allegare. Non dimentichiamo che molto spesso la superficialità nell’utilizzo di quesiti ciclostilati e buoni per tutte le stagioni rende di fatto inutile o parzialmente inutile l’intero procedimento per accertamento tecnico preventivo, poiché non impone ai consulenti di tener conto in modo specifico delle singole allegazioni ma di fatto li invita ad una più generica valutazione del caso come se, appunto, l’A.t.p. fosse una “questione per medici-legali” che devono vedersela tra di loro a prescindere dalle allegazioni di parte e dalle delicate questioni giuridiche, con l’effetto che sarà necessaria una chiamata a chiarimento nel successivo procedimento di merito.
Non va dimenticata inoltre la questione, altrettanto giuridica, della selezione dei soggetti da coinvolgere e la risposta al quesito circa l’individuazione della parte gravata dall’onere di chiamare in giudizio anche altri soggetti ai quali le altre parti, o il Magistrato, ritengano di dover estendere l’accertamento.
La circostanza che i sanitari dipendenti siano “lasciati in pace” e non coinvolti quindi nell’accertamento tecnico preventivo se, per un verso, è nel senso di concentrare le azioni, di natura contrattuale, sulla struttura, in adesione peraltro ad un orientamento che non discende dai meriti della Gelli-Bianco ma dalla buona abitudine che avevano tutti i giuristi specializzati in responsabilità medica anche prima, non è conclusione da prendere in considerazione con leggerezza, tanto più se si vuole tenere veramente in considerazione l’interesse del medico dipendente.
Va segnalato, anzitutto, che in tutti i casi nei quali la struttura pubblica e privata ha intenzione di agire in rivalsa, la mancata partecipazione del medico dipendente costituisce ostacolo all’utilizzabilità piena, della perizia formatasi in corso di accertamento tecnico preventivo, nel futuro giudizio di merito, e questo è un rischio che né il ricorrente né la struttura dovrebbero voler correre. Ma vi è un altro dato, che le precedenti riforme non hanno tenuto in debita considerazione: il sanitario ha il diritto-dovere di interessarsi della questione di responsabilità che è stata invocata sia in via stragiudiziale che in giudizio, poiché il rischio di essere coinvolto in un futuro procedimento di natura erariale, oltre che la tutela della sua onorabilità personale e professionale, meriterebbero attenzioni già nell’A.t.p. e quindi nel giudizio di merito. Personalmente non acconsentirei mai che la mia difesa venisse presa in considerazione da un soggetto terzo, per quanto mio datore di lavoro, che ha un interesse nel processo che in taluni casi può essere anche diametralmente opposto al mio, e che può abbandonare ottime ragioni di mia difesa per inseguire le proprie. Se mai un medico mi chiedesse, quindi, se disinteressarsi del procedimento in corso, e della propria anche solo quota di responsabilità nella causazione del danno, gli consiglierei di essere presente, ben assistito, e di scegliersi anzi un difensore che non sia necessariamente lo stesso della struttura sanitaria o della relativa compagnia di assicurazione.
Sul pedissequo riferimento alle tesi che vedono la medicina difensiva al centro di qualsiasi elaborazione in materia di responsabilità medica, mi permetto di rinnovare i miei profondi dubbi: la statistica alla quale tutti fanno riferimento e che è stata raramente approfondita, sembra ricondursi ad un campione veramente limitato di interviste telefoniche nel corso delle quali i medici avrebbero indicato la propria solerzia nel prescrivere esami inutili al fine di precostituirsi opzioni di difesa in un futuro procedimento. Già per come è descritta dovrebbe farci riflettere sulla sua inconsistenza: quando mai la prescrizione di un esame ritenuto inutile (e fonte di responsabilità così contrattuale che extracontrattuale nei confronti del paziente, della struttura da cui si dipende, dell’erario) dovrebbe un giorno avvantaggiare il sanitario. Non solo, nella mia esperienza professionale di più di venticinque anni di responsabilità professionale e di migliaia di casi affrontati anche in giudizio, posso affermare che la stragrande maggioranza sono cagionati da difetto di prudenza. Ebbene tale dato mi convince della valenza suggestiva del tema della medicina difensiva: se effettivamente i medici fossero afflitti dal rischio difensivo e si fossero decisi di prescrivere migliaia di esami inutili, i difetti di tempestiva diagnosi sarebbero infinitamente minori, e le ragioni di accusa fondate sulla prudenza decisamente limitate, poiché i molti esami “inutili” avrebbero ben dovuto svelare le patologie che invece, ahinoi, sono spessissimo al centro dell’attenzione delle cause per responsabilità medica.
Va rimarcato inoltre un altro dato in parziale controtendenza con quella sorta di plebiscito dei commentatori in favore dell’affermazione del cosiddetto doppio binario (responsabilità solo contrattuale della struttura, responsabilità solo extracontrattuale del medico dipendente): non dimentichiamo che l’art. 7 della Gelli Bianco, dopo il secondo passaggio in Senato, è stato aggiornato rispetto alla formulazione precedente che sembrava voler più radicalmente alludere (ma non escludere!) la configurabilità della responsabilità contrattuale del medico dipendente.
Nonostante sia passata inosservata, a mio avviso abbastanza incredibilmente, la modifica “salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente” non si può non assegnare ad una precisazione tanto importante un significato, diversamente dovremmo ammettere l’inutilità di una rilevante precisazione del Legislatore in difformità dei principi ermeneutici che dovrebbero suggerire -pur nei limiti delle gravi contraddizioni della Gelli-Bianco- di assegnare un significato piuttosto che negarlo. Ebbene, lo stesso Legislatore anziché escludere radicalmente che sia configurabile una responsabilità contrattuale del medico dipendente apre all’inevitabile, osservando che l’obbligazione può ben essere assunta direttamente dal sanitario con buona pace per chi ritiene che il cosiddetto doppio binario sia un assioma indiscutibile. E aggiungo: ben può essere assunta “anche” dal sanitario dipendente, quindi in eventuale concorso con quella della struttura.
Peraltro, come ho avuto modo di chiarire anche nella mia ultima fatica per Utet (sia consentito per rapidità farvi riferimento agile per chi ne avesse interesse https://www.studiolegaletodeschini.it/la-responsabilita-in-medicina-di-nicola-todeschini-e-in-libreria/ ), le scelte lessicali così della Balduzzi e successivamente della Gelli-Bianco non sono mai state nel senso di escludere una responsabilità anche contrattuale del medico, così come non hanno mai escluso una responsabilità anche extracontrattuale della struttura. Per il vero lo scopo del Legislatore non dovrebbe essere quello di offrire patenti di attendibilità a diverse ipotesi ermeneutiche ma di legiferare, ed è certo che sia la Balduzzi che poi la Gelli-Bianco hanno mancato sotto tale profilo come pregevole dottrina ha rilevato. Non di titoli di responsabilità deve discorrere il Legislatore, semmai creare fattispecie, posto che la fattispecie “responsabilità medica” non esisteva e poteva ben essere formulata indicando i relativi elementi che la componevano. La scelta della Gelli-Bianco, che anche per tale ragione merita critiche, è stata invece quella di discutere, con il consueto mellifluo approccio di chi non è sicuro di quel che fa, di titoli di responsabilità tentando di boicottare un invece fecondo orientamento della Corte di Cassazione in materia di individuazione del titolo contrattuale anche nella prestazione del medico dipendente. Ebbene, e al di là della questione del doppio binario, la precisazione da ultimo indicata nell’art. 7 impone di assumere posizione, sotto il profilo giuridico, e non medico-legale, in ordine all’assunzione dell’obbligazione da parte del medico dipendente ed anche tale questione dev’essere posta correttamente sia nella fase stragiudiziale che allorché si rediga il ricorso per accertamento tecnico preventivo, con il che la criticata affermazione dell’apparente inefficienza delle questioni giuridiche nel procedimento per accertamento tecnico preventivo merita revisione.
Gli esiti del prezioso studio statistico del Tribunale di Roma che, va ricordato, in quasi due terzi dei procedimenti per accertamento tecnico preventivo instaurati vede l’affermazione della responsabilità, dovrebbe far riflettere anche sulla gestione del contenzioso in fase stragiudiziale, poiché è ben vero che una quota di responsabilità affermata nel corso dell’A.t.p. potrebbe anche essere fallace (secondo chi difende le strutture questa è certamente un’obiezione), ma è chiaro che se non nel quasi settanta percento dei casi almeno, mi si passi l’approssimazione, in oltre la metà dei casi la posizione assunta da strutture sanitarie e sanitari prima dell’instaurazione del procedimento per accertamento tecnico preventivo è una posizione maliziosa che impedisce una soluzione transattiva del caso. Andrebbe rimarcato che le Aziende Pubbliche, in autoassicurazione, e che assumono su di loro quindi fino all’ammontare di un determinata somma (spesso 500.000,00 o 750.000,00€) la gestione del contenzioso e la liquidazione del danno, con tutti i seri profili di danno erariale ad esso connessi, dovrebbero trovarsi al cospetto del paziente, tradito dalle aspettative di un servizio pubblico diligente, nella condizione di non regalare per certo del denaro, ma nella consapevolezza di gestire con dignità e massima attenzione il contenzioso, tenuto conto che non possono permettersi di certo di impegnare importanti risorse nella difesa di condotte invece chiaramente colpose; la circostanza che in quasi di due terzi dei casi sia presente una responsabilità e che tolti i potenziali errori di accertamento in A.t.p. c’è una larga parte di casi che dovrebbero trovare conciliazione in sede stragiudiziale, ma che giungono sino all’A.t.p. (verosimilmente anche al giudizio di merito) scopre il vaso di pandora: la possibilità di conciliare in via stragiudiziale un caso di responsabilità medica è veramente remota quando il valore non sia compresso nell’area delle cosiddette micro-invalidità con tutte le conseguenze, anche in materia di costo complessivo del sinistro, che vanno tenute in debita considerazione. Si obietterà che se non si definiscono è certamente colpa di posizioni cialtronesche da parte del paziente danneggiato e/o di chi lo patrocina ma debbo dire che nella mia esperienza non è mai accaduto che per un caso estraneo alle cosiddette micro-permanenti una struttura sanitaria abbia formulato un’offerta risarcitoria in via conciliativa prima dell’accertamento giudiziale indicando una misura di risarcimento dignitosa e quindi prossima ad un valore medio che auspicabilmente il paziente vorrebbe raggiungere all’esito del giudizio. È capitato piuttosto che si offrissero € 50.000,00 contro i 200.000,00/300.000,00€, 1.200.000,00€ contro i 3.200.000,00€, 80.000,00 contro i 250.000,00€.
E ancora: se fossero mai le pretese fantasiose dei patrocinatori a rendere impossibile la soluzione, che dire della chimera rappresentata dall’offerta reale? Quali ragioni ne impediscono l’utilizzo?
Come spieghiamo diversamente questa disparità incredibile tra le valutazioni delle strutture sanitarie in autoassicurazione (e pure assicurate) e quelle che poi si deducono dalla lettura delle sentenze o da accordi raggiunti in fase giudiziaria poco prima della sentenza? La conclusione è unica: o i Magistrati sono impazziti, le tabelle modificate notte tempo ed irraggiungibili per chi gestisce il contenzioso in materia di sanità, oppure è chiaro che esiste uno spreco enorme di risorse dovute alla pessima gestione dei casi di responsabilità medica sulla quale per anni mi sono concentrato anche nei miei corsi rivolti al mondo dei giuristi ed ai medici-legali, ma che non incontra evidentemente un grande interesse da parte della comunità scientifica che elargisce pur consulenze preziose ad un disattento Legislatore.
Un esempio (moltissimi altri li sto raccogliendo nel mio prossimo lavoro) di questo atteggiamento scandaloso per evitare prese di posizione qualunquiste? Presto detto: in una vertenza che coinvolge al contempo una struttura pubblica ed una struttura sanitaria privata, dopo una fase stragiudiziale inutile, per la totale chiusura da parte di entrambe le strutture, viene celebrato il procedimento per accertamento tecnico preventivo dal quale si deduce l’affermazione delle condotte difformi da parte dei sanitari. Assente qualsiasi proposta transattiva è il patrocinatore dei danneggiati a formulare una proposta transattiva nei confronti delle strutture prima del giudizio ma tale equilibrata proposta, che nel corso del giudizio troverà una quantificazione di più di € 170.000,00 superiore, per quanto una delle strutture sia disponibile a profittarne, non si traduce in una transazione perché la struttura privata, su iniziativa della propria compagnia di assicurazione, pretende che i danneggiati sottoscrivano una transazione, per danno da perdita del rapporto parentale, grazie alla quale sia affermato il loro impegno a manlevare la struttura per qualsiasi futura richiesta di risarcimento anche ad opera di un terzo congiunto che non è mai stato parte del processo e che non rientra più nemmeno nello stato di famiglia d’origine! Trattandosi di rivendicazione di un danno iure proprio, e non iure haereditatis, la richiesta di manlevare la struttura dalla potenziale richiesta di un terzo, anch’essa formulata inevitabilmente iure proprio, è incredibilmente sciocca ma tale ostacolo obbliga i danneggiati a rivolgersi al Giudice e nonostante nel corso del procedimento di merito vengano sollevate obiezioni sia nell’an che nel quantum, dopo chiamata a chiarimenti del consulente d’ufficio non emergono elementi in favore di una diversa ricostruzione del fatto e di una diversa quantificazione del danno. A pochi mesi dalla sentenza una delle parti tenta di definire in via conciliativa alle stesse condizioni che precedevano il procedimento di merito pretendendo però nuovamente la singolare manleva. Ebbene il procedimento dopo la resistenza dei danneggiati verrà probabilmente transato ma lo spreco di tempo, energie, oneri legati a questa incomprensibile insistenza da parte della compagnia di assicurazione della struttura privata ha reso un contenzioso, che era possibile risolvere in sei mesi, di durata invece pluriannuale.
E potrei continuare all’infinito descrivendo, come farò nella mia prossima pubblicazione, altri singolari casi di responsabilità da cattiva gestione del contenzioso in responsabilità medica.
Sarei quindi cauto nel formulare elogi nei confronti del Legislatore in materia di responsabilità medica, piuttosto pretenderei che finalmente il Legislatore creasse norme e non si limitasse a bacchettare orientamenti interpretativi ricordando che gli strumenti sono fondamentali, segnalando che, ad onor del vero, ho perorato insieme al prof. Paolo Cendon, e nelle mie iniziative giudiziarie, tanti anni fa l’utilizzo dell’A.t.p. e del procedimento a cognizione ridotta prima ancora che la Gelli-Bianco sposasse, almeno in parte, questa soluzione, ma senza la collaborazione delle parti e la reale gestione del rischio, e corretta gestione del contenzioso, i risultati saranno sempre parziali e condizionati dalla capacità professionale, esperienza e correttezza delle parti nel singolo caso.
Avv. Nicola Todeschini